Una nuova architettura per una nuova specie di esseri umani
La moda è da sempre un fenomeno che interpreta e rispecchia la società di cui è espressione, raccontando sogni e visioni ed, interpretando scoperte tecnologiche, scientifiche e culturali.
L’evento che negli ultimi anni ha maggiormente segnato la società a livello internazionale è la pandemia. Il nostro quotidiano è cambiato, ma ancora di più è cambiato il nostro modo di percepire noi stessi e il nostro rapporto con la tecnologia e il mondo. Ci siamo resi conto di come i nostri destini di individui, siano legati tra di loro, di quanto la nostra sopravvivenza sia connessa a quella degli altri e allo stato di salute dell’ambiente. E in questo periodo di profonda incertezza lo sguardo è andato sia alla scienza, chiedendo alla medicina e alla chimica di trovare un cura per il male fisico che ci stava affliggendo; sia alle nuove tecnologie, chiedendo di metterci a disposizione i mezzi per assolvere alle nostre necessità quotidiane e professionali di connessione, interazione e scambio di idee, emozioni e anche beni materiali a distanza. Ci siamo resi conto di quanto la dimensione virtuale sia davvero reale e importante e di come sia insita nella nostra stessa natura.
Queste riflessioni nascono dalla straordinaria opportunità che ho avuto di dialogare con Philip Beesley - architetto, visual artist e direttore dello studio >>>Living Architecture Systems Group a Waterloo, Canada – e Sascha Hastings – curatrice e art producer molto abile e persona davvero simpatica – a proposito dell’opera di Philip presentata alla Biennale Architettura 2021.
Questa opportunità nasce da una serie di fortunate coincidenze. Ho avuto l’occasione di conoscere Philip (virtualmente) qualche anno fa, in occasione di un’intervista che ho realizzato per una rivista con cui collaboravo all’epoca, apprezzandone sin da subito il lavoro artistico e la grande empatia a livello personale. Successivamente ho potuto incontrare Sascha, la curatrice che ha seguito l’organizzazione del trasferimento della sua opera dal Canada sino a Venezia: l’ultima chiacchierata davanti ad una tazza di tè in ceramica raku a Venezia, che ho fatto prima del lock down del 2020.
Da lì ho seguito le sorti dell’installazione Grove fino a quando, finalmente, quest’anno ho potuto ammirarla nella sua bellezza all’Arsenale di Venezia.
Ne sono nate due interviste che vi propongo in due articoli davvero emozionanti!Uno lo trovate di seguito continuando a leggere, >>> a questo link !
Intervista a Philip beesley
Come possiamo vivere insieme?
Maddalena Mometti: Come ti è venuto in mente il concetto dell’installazione Grove? Da cosa sei stato ispirato?
Philip Beesley: Ciò che mi ha ispirato all’inizio di questo progetto è stata la domanda che Hashim Sarkis mi ha inviato nel suo primissimo invito alla Biennale di Venezia: “How will we live together?” [“Come vivremo insieme?] Mi ha fatto soffermare e cercare di raccogliere speranze e sogni in risposta.
Per replicare a questa domanda ho fatto un piccolo disegno. Il disegno mostra una superficie della terra piuttosto tesa. Sono stato fortunato a vivere su una terra forte e solida. In Canada, a volte posso stare in piedi su un granito intensamente profondo e solido, scolpito dalle ere glaciali. Allo stesso modo, quando vivevo a Roma, amavo stare sulla roccia di tufo, con le sue superfici profonde e morbide indurite dal sole. Eppure la terra su cui ci troviamo ora sembra molto diversa da questi esempi sicuri.
In questo disegno ho voluto esprimere la sensazione che la terra sia insicura. La superficie sembra quasi vuota, tremante. Questa sensazione è stata l’inizio del progetto Grove. Vivendo su quella superficie mi sono posto delle domande: “Se vivremo insieme, chi siamo? Ci sono molti tipi di esseri che possono vivere insieme a noi?”. Il mio piccolo schizzo ha visualizzato gruppi di esseri diversi: alcuni vecchi, alcuni giovani, alcuni corpi abili, alcuni meno abili. Ci sono individui piccoli e grandi e fragili accanto a leader orgogliosi. Il disegno mostra gruppi di esseri che si pongono la domanda: “Possiamo vivere insieme?” Questo tipo di collezione di individui è esitante e forte allo stesso tempo: esitante perché questo gruppo non proviene da una nazione o da una famiglia o da una società, e anche forte, perché la riunione di più tipi diversi di specie e di umanità sembra intensa e fertile.
Nel mio disegno, che si estende in alto, sopra questa terra tremante e l’assembramento di persone, c’è un radioso pizzo di nuvole, che crea baldacchini, e conchiglie, e nidi, e ragnatele. Questo offre una specie di architettura gentile. Offre un canto comune di speranza.
Questo era l’abbozzo di ciò che speravamo di poter offrire nell’installazione. L’opera era intitolata Grove, come l’apertura in una foresta selvaggia, dove ci si poteva riunire in pace, un luogo di fondazione di una città. Questo potrebbe ricordarci gli inizi leggendari delle città storiche. Forse questo ‘boschetto’ potrebbe anche sentirsi come un tempio, aprendoci a poteri che stanno molto al di là di noi. Che sia grande o piccola, questa architettura agisce come il più dolce luogo di raccolta.
We live in urgent times. [Viviamo in tempi di emergenza.] Abbiamo bisogno di tanta speranza!
L’architettura gentile dopo la pandemia
Maddalena Mometti: Come ha influito sul processo creativo l’attuale situazione internazionale degli ultimi due anni e le relative limitazioni?
Philip Beesley: All’inizio, prima della pandemia, il progetto era basato su un luogo di raccolta profondamente fisico. Abbiamo concepito una sorgente radiosa che si apre all’interno di una foresta, evocando la crescita originale dove la prima città si raccoglie. Una gamma completa di meccanismi e componenti architettoniche è stata sviluppata per costruire quella visione. Abbiamo cercato di considerare dimensioni lontane dai domini umani, arricchite da esseri viventi di tutti i tipi e dall’emergere della vita, ma anche da minerali e materiali elementari. Pensavamo a canti sussurrati e alla distribuzione di suoni e movimenti delicati: l’esperienza di un nuovo tipo di vita artificiale che si intreccia con la vita naturale. Nuove impalcature scheletriche flessibili, colonne e gusci simili a cesti, e nuove maglie di microprocessori furono tutti prototipizzati e lanciati verso la produzione di massa. Abbiamo iniziato a lavorare molto duramente, più di due anni fa, costruendo questo paradiso-giardino fisico.
E poi tutto è cambiato con la pandemia. Per un po’ abbiamo pensato che sarebbe stato impossibile riprendersi. Siamo stati costretti a chiudere. Come tanti altri, abbiamo detto: “Ci dispiace tanto, è impossibile!”. Ma Hashim Sarkis e il suo gruppo ci hanno incoraggiato a rinnovare le cose e a trovare un modo per continuare. Così abbiamo cercato di cambiare. Invece di un lavoro completamente fisico, abbiamo pensato a un sistema stratificato e aperto, non dipendendo così tanto da scale epiche e grandi risorse. Abbiamo concepito una nuvola aperta, simile a un pizzo, che potesse diffondersi e nutrirsi e allo stesso tempo consumare solo le risorse più leggere e minime. Abbiamo immaginato di offrire un’architettura trasformata in un dolce strumento pieno d’aria, pieno di luci e ombre e suoni. Questo ci ha portato all’idea di realizzare un film, traducendo il più possibile il progetto fisico che avevamo intenzione di costruire e ricreandolo all’interno di un mondo virtuale..
Il film: un dialogo tra Architettura, Design e Moda!
Maddalena Mometti: È la prima volta che traduci il tuo lavoro in un film… è corretto? Raccontaci la tua esperienza per favore!
Philip Beesley: Sì, questo è il nostro primo grande lavoro su pellicola. Con la rinnovata visione di lavorare con queste dimensioni immateriali e piene di energia, ci siamo rivolti a quattro collaboratori: i brillanti film-maker Warren du Preez e Nick Thornton-Jones, il compositore di suoni Salvador Breed e l’artista di moda Iris van Herpen. Insieme a Warren e Nick, abbiamo preso i modelli di componenti profondamente intrecciati che erano stati pensati per la costruzione fisica [dell’installazione], e li abbiamo tradotti in animazioni digitali proiettate, montate e animate in un mondo virtuale completo. Insieme a Salvador, abbiamo concepito vasti campi di suono, usando moltitudini di piccoli altoparlanti singoli che potevano portare sussurri intimi e al tempo stesso tempeste fragorose. Le conversazioni con Iris ruotavano intorno all’emergere di un essere simile a un bambino che potrebbe vivere all’interno di membrane intrecciate che galleggiano nello spazio di Grove.
Combinando tutte queste conversazioni, abbiamo creato il film insieme. Abbiamo lavorato su alcuni nuovi software che ci hanno permesso di tradurre gli array di componenti architettonici intricati in tessuti animati che si spostano e si flettono, e che possono trasportare liquidi trasparenti e luce cristallina. Abbiamo progettato un nuovo tipo di altoparlante in grado di irradiare il suono tutt’intorno, e lo abbiamo sintonizzato in modo che potesse trasportare un ampio spettro di frequenze. Abbiamo progettato una superficie del pavimento con una cavità che potesse ricevere il film proiettato, dando l’esperienza di guardare in una piscina profonda scavata nel terreno.
Non appena il film ha iniziato ad emergere, abbiamo scoperto quanto potente potesse essere per noi quel nuovo mezzo. Ci ha permesso di andare più lontano nelle dimensioni emotive di quanto non fossimo mai andati prima. Sembrava permetterci di toccare la gioia, mentre costruivamo nuovi mondi cristallini. Abbiamo tracciato la storia di un bambino che sta per nascere. Questo a sua volta ci ha permesso di abbracciare anche la sofferenza, e alla fine abbiamo anche abbracciato una perdita quasi indicibile. Tutte queste dimensioni possono, credo, essere viste nel film.
Mi ha colpito molto il modo in cui l’architettura e il design industriale e anche il mondo del cinema e della moda possano unirsi. Una sorta di nuovo spazio di possibilità dove forme e gesti visivi, suono e video lavorano insieme.
Maddalena Mometti: Ed è una buona metafora dei nostri tempi! Soprattutto in questi due anni abbiamo percepito che il digitale è molto fisico per noi in qualche modo! Durante il periodo di lock down gli incontri digitali erano l’unico contatto con altre persone! E avevamo davvero bisogno di questo tipo di relazione!
Philip Beesley: Questo mi fa pensare a una realizzazione che viene dalla realtà degli ultimi due anni in cui da un lato possiamo dire che tutto è virtuale, l’intreccio di tutte le possibilità si proietta sul potenziale dei media virtuali, un mondo completo. Dall’altra parte quelle forme digitali sono naturalmente profondamente fisiche. Mi piace la sensazione che queste cose siano in realtà una sola. È una falsa opposizione. Le idee sono azioni. Le azioni sono idee. In natura le dimensioni opposte sorgono costantemente insieme.
Maddalena Mometti: Parliamo del film in dettaglio! L’ho trovato sorprendente e molto accattivante! In alcuni momenti ho avuto l’impressione di essere uno spettatore, in altri ho avuto la sensazione di essere io stessa il protagonista umano e quindi di avere una visione soggettiva…
Philip Beesley: Sì, la visione all’interno di questo film ti invita a sentirti come se fossi al suo interno, e persino a sognare il mondo che stai vedendo. Nella prima parte del film vengono mostrati il vuoto e la distanza, poi lentamente ci si avvicina e ci si coinvolge più profondamente. Si può percepire il proprio respiro e la propria evoluzione. C’è la sensazione di essere abbracciati. Poi, improvvisamente, si viene catapultati di nuovo in uno spazio terribilmente alienante, come se fosse avvenuta un’esplosione di dimensioni inimmaginabili e si fosse stati lasciati con le terribili conseguenze. Piccoli guizzi di movimento sorgono di nuovo, e lentamente si accumulano, e ci si ritrova di nuovo profondamente immersi. Questi cicli continuano, con intensità crescente. Quando guardo il film lo trovo sia molto incoraggiante sia spaventoso e disorientante.
Sono incoraggiato dalla possibilità di offrire alle persone un’esperienza che può essere glacialmente lenta e inoltre di condividere un’intensa energia. Salvador ha dato vita ad un tessuto di suoni che accompagnano questo mondo immersivo, alcuni dei quali sono alieni e artificiali, assolutamente freddi. In altre parti del film l’atmosfera è accogliente e gioiosa.
Una nuova specie di esseri umani?
Maddalena Mometti: Nel film c’è una sorta di proiezione di un nuovo tipo di essere umano?
Philip Beesley: Sì. Il film tenta di creare una sorta di nuovo mito delle origini della vita. All’interno di questo nuovo mito, viene offerto un nuovo bambino. Forse questo bambino è un nuovo tipo di essere umano con il corpo di un cyborg il cui corpo contiene parti artificiali e naturali densamente intrecciate, che vive intrecciato sia nella natura che nella tecnologia. Il film si basa su questa visione. Per alcune parti del film, si vede un bambino, all’interno dello spazio di un nido, in profondità all’interno di maglie stratificate. In quelle parti, le forme scultoree sembrano fertili, come nidi circondati da un terreno rigoglioso. Possiamo vedere il bambino che si muove, che tocca e li raggiunge delicatamente.
Il suono che accompagna questo film include testi parlati tratti dalle Tentazioni di Sant’Antonio di Gustave Flaubert, autore francese del diciannovesimo secolo. Quell’autore ha ispirato una generazione di artisti surrealisti che l’hanno seguito, e io sono tornato a lui più e più volte per trovare ispirazione nel mio lavoro. Le Tentazioni evocano tribolazioni che travolgono il Santo in incubi tumultuosi. Si passa poi a dei bei passaggi in cui il Santo si sente unito alle rocce, ai minerali e alle piante. Questa metamorfosi è un dono di vita dalla morte. Per me, il bambino nel film incarna questa transizione. Questo è ciò che vogliamo offrire con Grove in questo tempo particolarmente teso: un dono di vita dalla morte.
Lasciatemi dire qualcosa di più su alcune idee fondamentali di questo progetto. Alcuni vecchi miti suggeriscono che la vita è sempre separata dalla tecnologia. All’interno di questo modo di vedere il mondo, le miriadi di forme di piante e organismi viventi non umani portano in qualche modo disorganizzazione e malattia, mentre i minerali inerti e gli elementi puri potrebbero sembrare materiali da costruzione migliori e più forti che ci permettono di controllare e pulire il mondo, rendendolo sicuro. I minerali inerti potrebbero servire per gli strumenti e per fare i muri e i pavimenti dell’architettura, con la natura tenuta al sicuro fuori e sotto controllo. Penso che questa idea sia presente in molte parti della nostra cultura. Penso che la separazione abbia creato condizioni profondamente dannose nel mondo.
Tuttavia, non credo che la separazione sia necessaria. Mi piace il senso che potremmo guardare molto attentamente e lentamente una roccia e chiedere, in tutta serietà: “È viva?” In alcune parti remote della nostra cultura, la risposta potrebbe essere “sì”. L’antico principio greco dell’ilozoismo lo suggeriva. Ilozoismo significa ‘vita dalla materia’. Questo concetto è una delle basi per la costruzione del film – il senso che non è necessario avere una forte separazione tra te e una roccia o un attrezzo.
Ho cercato di esprimere questa idea presentando elementi primari, organizzati in matrici armoniche. Onde di energia li trasformano in nuovi tipi di materiale. Creano catene e fasci. Le reazioni metaboliche risalgono e li trasformano di nuovo. Le strutture cristalline di quelle forme attraggono nuovi materiali e li organizzano, agendo come modelli. Le informazioni emergono, codificate nelle loro strutture, portando i modelli per comporre quei fasci e gruppi. Catene e membrane rotolano e si arricciano, creando superfici increspate. Reagiscono e condividono. Emergono avvallamenti e si arricciano su se stessi. Le membrane che si arricciano si collegano in vasi e nidi. Ci sono onde che si increspano avanti e indietro da queste azioni, creando tipi di proiezione e memoria. Forse anche la coscienza emerge all’interno di queste increspature di reazione.
All’interno dei boschetti di scultura che circondano il corpo del bambino, la vita risplendente scorre fuori, germogliando e gonfiandosi con innumerevoli forme di piante e fiori. Le nuvole rotolano molto in alto, suggerendo che questo paesaggio potrebbe continuare in mondi multipli. In altre parti del film, siamo testimoni di una pianura desertica che prende il sopravvento sul paesaggio. Forme frantumate parlano di forze intense che hanno travolto la terra, cancellando quasi tutte le forme viventi. Anche il bambino appare momentaneamente all’interno di queste sezioni. Li vediamo sepolti, nella morte, in una visione di sacrificio dove potrebbero trasformarsi in terra. Queste transizioni continuano con la vita che succede alla morte e che cede di nuovo in cicli multipli.
Questo è un messaggio potenzialmente prezioso, credo. Non siamo soli. Le nostre azioni si increspano e toccano tutto. Tutto ciò che ci circonda ci tocca. La storia del film si basa su questo.
Grove: l’installazione fisica
Maddalena Mometti: Cosa puoi dirmi dei materiali dell’installazione?
Philip Beesley: Spero che le qualità che ho descritto possano essere viste anche in alcune delle attività fisiche del processo di costruzione di Grove. Penso che lo si possa vedere all’opera nel baldacchino, fatto con fogli di polimeri leggeri e resistenti. Lo si può vedere anche nel boschetto di altoparlanti in piedi che circondano lo spettatore, con ogni guscio stampato che galleggia in un delicato cesto di metallo teso. Queste forme cercano di essere sensibili, offrendo intimità.
Il tessuto principale che possiamo vedere in Grove è un grande tessuto sospeso fatto di polimeri PETG, mentre i gusci degli altoparlanti visti all’interno delle colonne in piedi sono stampati da materiale sintetico, fatto da una bioplastica a base di zucchero vegetale. Il tessuto è tagliato con un laser, utilizzando modelli accuratamente sviluppati che cercano di formare forme reattive simili a fronde che possono essere messe in azione solo con il minimo tocco.
Maddalena Mometti: Hai creato questi polimeri (soprattutto la bioplastica) appositamente per Grove o ci avevi già lavorato prima?
Philip Beesley: Alcuni materiali sono tradizionali, altri sono nuovi. I filamenti per la stampa in acido polattico (PLA) sono ormai entrati nell’uso comune, per fortuna. Stiamo cercando di migliorare i materiali che usiamo. Siamo ancora alla ricerca di un foglio di bioplastica che possa essere abbastanza flessibile da gestire ampie forze di torsione e piegatura, pur rimanendo trasparente. Non siamo abbastanza vicini a questo obiettivo, ma sembra che si stiano facendo progressi. Per ora, stiamo continuando a usare il foglio polimerico riciclabile PETG, mentre cerchiamo dei sostituti che si avvicinino di più agli standard di progettazione completamente circolare dove tutto il materiale può essere riutilizzato, con un impatto minimo di carbonio nel mondo. Uno dei modi in cui abbiamo fatto grandi progressi è l’uso della quantità minima possibile di materiale utilizzando fogli molto sottili.
Lavoriamo con un design conforme alla forza. Cerchiamo di non resistere alle forze. Invece, stiamo lavorando per creare qualcosa di più flessibile e resiliente possibile. In questo modo i sistemi possono gestire ampi cambiamenti ambientali. Quando stavo imparando l’architettura mi è stato insegnato a costruire le cose nel modo opposto, seguendo la filosofia dello scrittore romano Vitruvio di fare cose forti, costruite per durare: “Prima di tutto firmitas!”. Il mio nuovo lavoro, tuttavia, tende ad opporsi a questa visione. Non credo che oggi abbiamo bisogno di più muri. Credo che come architetti abbiamo bisogno di concepire sistemi aperti, deliberatamente flessibili ed effimeri.
Maddalena Mometti: E il nome Grove?
Philip Beesley: Amo la parola grove [boschetto], perché significa un luogo di presenza e un luogo di apertura in una sorta di selvaticità, che abbraccia lo spazio circostante. L’idea di un boschetto è un luogo di raccolta fondamentale. Offre un’apertura, una collocazione fondamentale. Non si tratta di un atto di rivendicazione del territorio. L’apertura invita a riunirsi e parla della profonda tradizione della democrazia.
Penso che un nuovo spazio per la democrazia abbia bisogno di nuovi tipi di spazio. Per me è motivante sentire le voci dei nuovi fisici che ci incoraggiano a considerare nuove concezioni: piuttosto che descrivere lo spazio fondamentalmente vuoto, con i singoli atomi che danzano come sfere infinitesimamente piccole, circondate dal vuoto, credo di essere ora incoraggiato a vedere la possibilità che la massa che sorga ovunque. Nelle realtà quantistiche che vengono ora confermate dai sorprendenti esperimenti degli strumenti del CERN, persino la nascita della massa stessa potrebbe essere vista come una sorta di particella fondamentale, il bosone di Higgs. Se la massa può nascere ovunque, allora lo spazio è pieno, non vuoto. Incoraggiato da questo, tendo ad usare anche nuovi termini. Penso che potremmo usare la parola medievale etere invece della parola spazio, piuttosto fredda e in qualche modo polarizzante. Amo la pura fertilità e la potente pienezza che l’etere evoca. Grove incarna quel tipo di spazio di raccolta.
L’empatia meccanica
degli edifici sensibili e reattivi
Maddalena Mometti: Ho letto il comunicato stampa: la tua installazione è stata descritta usando la parola empatia. Come si può mettere questo tipo di empatia in progetti di architettura di edifici e città reali?
Philip Beesley: Sono ottimista rispetto alla possibilità che gli edifici reattivi [responsive buildings] offrano un preciso tipo di empatia meccanica che potrebbe aiutare a rinnovare ciò che l’architettura può essere. L’empatia può essere sentita quando una persona vede che i propri pensieri e sentimenti sono fondamentalmente ‘ascoltati’ e integrati dagli altri. L’empatia potrebbe anche essere espressa da meccanismi ed edifici, dove questi sistemi percepiscono ciò che gli esseri umani stanno esprimendo e rispondono a queste manifestazioni. Forse alcuni esempi di ciò sono ora ordinari: diamo per scontato che la porta di un centro commerciale si apra davanti a noi quando camminiamo verso di essa. Questo esempio ordinario potrebbe suggerire che l’empatia meccanica è un mestiere tecnico praticabile, ma devo riconoscere che è anche pieno di problemi. Può anche implicare che non siamo liberi. Un meccanismo attivo può anche diventare un mostro che può farci del male. Quindi, il potere di questo modo di lavorare è grande. Tuttavia, se guardiamo più da vicino impalcature e informazioni insieme, sembra possibile fare tessuti architettonici che sono molto sensibili nei loro meccanismi. Piuttosto che semplicemente spingere e tirare, manipolando le cose con la massima potenza, possono risuonare e armonizzare le forze che passano attraverso. Con controlli computazionali, possiamo orchestrare funzioni di ‘apprendimento’ che aiutano l’opera ad agire in modo sensibile. Così questo tipo di lavoro diventa empatico, ascoltando ciò che dici, muovendosi con te, anticipando ciò che stai per fare e in qualche modo spostandosi e danzando con te. Dobbiamo lavorare per rendere l’architettura sensibile, imparando dall’empatia umana.
Maddalena Mometti:Un bellissimo scenario!
About Venice
Maddalena Mometti: La mia ultima domanda; quale è il tuo rapporto personale con la città di Venezia? C’è una connessione tra questa città e Grove?
Philip Beesley: Grove è concepito per lavorare insieme all’Arsenale, proiettando ombre ed eco all’interno di quello straordinario e vasto spazio. Il suo baldacchino proietta nuvole che fluttuano nell’immaginazione tra i canali e le passerelle di Venezia. Il suolo di Venezia ha tanti tipi di storia al suo interno. Passando molto tempo su quel terreno il mio corpo viene toccato da un certo modo di camminare e di essere. La città galleggiante è naturalmente un luogo di sogno, un luogo che concentra spazio urbano, terra, acqua. Il sole sorge e tramonta sulla grande laguna. L’acqua si muove intorno a te. Questa esperienza di muoversi su e giù contro una superficie d’acqua, dentro e fuori, produce il più delizioso senso di immersione. In quello spazio è possibile sperimentare la qualità di esseri anfibi. È lo spazio dei sogni per me. I sogni più vividi avvengono quando dormo a Venezia. I suoi suoni stregati e i suoi echi sussurranti sono eterni. Venezia è insostituibile.
>>> Vai all’intervista con Sascha Hastings!
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IMMAGINI
Tutte le foto sono state pubblicate per gentile concessione di Philip beesley e Sascha Hastings.
Partendo dall’alto:
[immagine 1] Screenshot del film Grove Cradle
[immagini 2,3,4] Schizzi preparatori per l’installazione Grove realizzato da Philip beesley
[immagini 5,6,7,8,9] Screenshot del film Grove Cradle
[immagini 10,11,12] Foto dell’installazione Grove
[immagine 13] Chic Words in visita all’installazione Grove